«Confessai solo perchè mi ero immedesimato nell'assassino». I suoi avvocati: assolvetelo o fategli una perizia psichiatricaTre volte attore suo malgrado e tre volte tradito. Per camerino la cella. Così si è mostrato ieri mattina Olindo Romano, quando gli è stata data parola. Anziché teatro del clamore («ho fatto tutto io, salvate Rosa», era il tam tam della notte), ha messo in scena quello dell’isolamento del pensiero. Mai reclamata la parola «innocenti», non dice di non aver mai compiuto la strage, piuttosto ci tiene a ribadire che sulla «Bibbia» dei pizzini non l’ha mai «rivendicata». Parla con una ostinata, spietata lontananza dai giorni dei fatti e da quello così prossimo della sentenza.
Identico alle altre volte: un po’ di armeggi con il microfono, poi «penso che si senta bene», identico anche nella fine: «Con questo concludo così, non voglio dire altro». Quasi una richiesta di comprensione in apertura: «Vado indietro nel tempo perché soffro di vuoti di memoria». E allora deve precisare qualcosa su tre crucci: lo psichiatra Picozzi, la Bibbia, i medici del carcere. Li allinea, ma non trae una conclusione, mai, utile alla riflessione della corte.
Primo: «Il professor Picozzi venne in carcere come consulente della difesa con una piccola telecamera. Gli chiesi a che serviva. Rispose: per poi redigere la valutazione. Assicurò che quel che dicevo non sarebbe finito in nessun modo su tv e giornali e da nessuna altra parte. Acconsentii. Tre sedute dove dovevo ripercorrere una confessione. Poi non l’ho più visto. Lo stesso con mia moglie».
La «recitazione» con la Bibbia annotata: «Sta in un contesto dove noi, anzi io perché io ho scritto, uso il singolare... Avevo appena fatto una confessione, agli occhi degli agenti, dei detenuti, di chiunque arrivava ero il mostro di Erba: dovevo esprimere del pentimento. Ci sono punte di rabbia, ma era un modo per sfogarsi, un passatempo, lì non c’è nulla da fare». Conclusione? Mal interpretati gli scritti? No, quello che conta è la non rivendicazione, non la negazione d’aver agito.
Terzo tradimento. «Gli psichiatri in carcere. Ne sono cambiati tre, cinquanta, sessanta incontri, ma loro, come ha detto il pm, dovevano venire solo per la terapia. Dei fatti ho parlato con la psicologa». Non lo dice espressamente, ma la lamentela è la medesima: là dove ho collaborato mi sono ritrovato tutto contro. Sottolinea ogni parola con mani e braccia. Torna in gabbia: ha chiarito, non ha chiesto una riflessione, nulla ha reclamato. Ha messo in chiaro tre punti. L’esito di tutto appartiene a un’altra sfera. Quello che pareva pronto a essere un attacco frontale al primo psichiatra con la videocamera, si è sciolto in una puntualizzazione cui sembra tenere più per la chiarezza con se stesso che con chi lo giudicherà. Il video di Rosa fu allegato agli atti dalla difesa di allora perché conteneva la ricostruzione dell’asserito stupro da parte di Azouz, quindi una spiegazione al gesto in vista di un rito abbreviato. Si ritorse in elemento dell’accusa.
L’attore «tradito» sembra soddisfatto di aver preso le distanze da chi oggi vede come regista d’allora, nemmeno del disastro di oggi dopo la requisitoria di Massimo Astori. Nelle considerazioni sul diario clinico l’accusa ha letto di «tranquillità, adeguatezza nell’eloquio». E poi: «Riferisce di essere tranquillo, di non pentirsi del fatto. Ritiene solo di avere necessità di incontrare sua moglie». Di lei: «Afferma di sentire un po’ di rimorso per il bambino, ma senza particolare partecipazione emotiva».
Olindo avrebbe voluto fare un lungo intervento per difendere i tre legali - Pacia, Bordeaux e Schembri - bersagliati da pm e parte civile, ma loro l’hanno convinto a evitare quel bizzarro ribaltamento. E intanto hanno deciso: «Assolvetelo o fategli una perizia psichiatrica». Lui ha puntualizzato quel che gli stava a cuore più per sé che per il processo in aula e per quello mediatico. Estraneo alla sera di dicembre così lontana come alla sentenza così vicina, con lo sguardo da lupo spaventato e minaccioso, robusto e tozzo intento a mettere i puntini sulle i con le mani accusate di ferocia pazzesca e per lui incapaci di uno schiaffo, al massimo di stringere quella che altri chiamano spranga e per lui è soltanto una «stanghetta».
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Fonte
L'ultima recita di Olindo
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